CALVINO: Quello che mi attira di più nelle “Mille e una notte” – un
libro che ha affascinato e ispirato Vittorini fin dalla sua giovinezza – è
quel senso di proliferazione di storie, di storie che nascono da altre
storie. Nel mio romanzo “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, che
riflette la vita odierna da parecchi punti di vista, contemporaneamente,
ho cercato anch’io di dare il senso a molte storie che si diramano l’una
dall’altra pur conservando una reciproca parentela. Proprio come nelle
“Mille e una notte”, dove si legge sempre una storia diversa ma con
l’impressione di continuare a leggere quella di prima.
Sente familiare anche il mondo fantastico di Alberto Savinio?
CALVINO: Amo molto Alberto Savinio. Quando era vivo veniva
considerato un autore piuttosto marginale; oggi si scoprono in lui una
grande personalità e un sistema di pensiero. Savinio però, che dà il
meglio di sè in raccolte che sono uscite postume, dice la sua in modo
molto libero. Egli non aveva cioè il problema – che io ho sempre dovuto
affrontare – della forma narrativa. Scrivere un nuovo libro significa per
me costruire una nuova forma di racconto. Savinio quindi è un altro
autore, appartiene ad una generazione diversa.
Mentre in tutte le Sue opere la fantasia si rifà in qualche modo alla
realtà, che è aperta e offre molte possibilità, nel “Castello dei
destini incrociati” parte invece da un sistema chiuso dove tutti gli
elementi hanno un posto ben preciso, come nel gioco dei tarocchi.
Si tratta di una nuova linea narrativa?
CALVINO: Il “Castello dei destini incrociati” ha rappresentato per me
un’esperienza singolare: in esso ho sfruttato le possibilità narrative di un
sistema dato, chiuso. Mi hanno affascinato parecchio gli elementi
figurativi: figure abbastanza complicate che ogni volta potevo
interpretare in un altro modo. Per un certo periodo ho accarezzato l’idea
di scrivere un libro, un sistema di racconti, utilizzando le incisioni di
Dürer, le allegorie più complicate come la Malinconia, la Fortuna, il
Cavaliere e la Morte: si trattava di interpretare quelle figure non secondo
la tradizione iconografica ma inventando altre storie...
Ma se parte da un sistema chiuso non si pone già fuori della realtà?
CALVINO: Utilizzando del materiale iconografico arcaico, uno si sente
certo obbligato a esprimere una psicologia antica: il diavolo, la morte...;
nello stesso tempo però la sfida che questo punto di partenza lancia è di
riuscire a parlare di oggi. Nel “Castello dei destini incrociati” credo di
aver accettato in una certa misura questa sfida. Le allusioni all’oggi sono
continue; anzi forse ho parlato di me stesso più in quel libro che in
qualsiasi altro. Naturalmente ad un certo punto ci si stanca di un dato
repertorio di segni, e così nello stesso libro dall’immagine del cavaliere di
spada e dell’eremita passo ad un altro sistema chiuso, che è quello degli
affreschi di Carpaccio con la storia di San Girolamo e di San Giorgio, e
lo faccio diventare una sola storia. Ma in tutte queste operazioni, ripeto,
il riferimento all’oggi e alla sua morale è continuo.
Mario Tamponi